SORRY BUT, I’M SOCIAL
Tanto social nei social e poco social nella vita: Benvenuti nel luogo astratto da cui è difficile evadere
È tempo di prendere coscienza di quella che in molti casi è diventata una vera e propria problematica connessa a quello che è diventato un uso compulsivo della mobile experience che si realizza proprio attraverso l’utilizzo di quei gates per il mondo digitale e che nel quotidiano ci portano a vivere in una sorta di simbiosi con i nostri smartphone.
Ed è proprio così che ormai da tempo a sensibilizzare l’opinione pubblica degli utilizzatori non ci sono più solo mega scienziati ed esperti di comportamentarismo ma anche sempre più personalità che grazie ai social iperconessi “ce campano”.
Il nostro quotidiano a tutti gli effetti risulta essere così abitato da intere generazioni dipendenti dal proprio telefono in maniera così radicata tanto da averne bisogno per stare bene.
Intere generazioni la cui quotidianità si consuma in buona parte nello scroll compulsivo della home dei social che fanno da padroni: Instagram e Tik Tok.
E in questo contesto di patologica immersività, sempre più persone perdono la percezione di sé stesse cedendo alle lusinghe di una distrazione in grado di assorbire l’attenzione rendendo dipendenti da quel universo infinito di contenuti user generated but not only.
E così, giorno dopo giorno, senza rendercene conto, il nostro tempo si consuma tra le nostre mani mentre cingono lo smartphone, il gate per il mondo social.
Se non fosse che gli artefici di quella deriva iperconnessa siamo proprio noi stessi, ai social si dovrebbe dare un cartellino rosso ma questo non sembra possibile tanto ne è radicata la presenza nelle vite di generazioni anche distanti tra loro.
Il cellulare e i social, infatti, sono sempre più usati come “rimedio” per trovare risposte, conferme, per sentirsi belli, apprezzati, per divertirsi, per rilassarsi, per distrarre, per intrattenere, per calmare… ma la lista è molto più lunga..
Con il passare del tempo, quel “rimedio” del binomio smarthone-social, infatti, nel suo uso-abuso si rivelerà una pericolosa e dannosa dipendenza in grado di compromettere seriamente anche l’arbitrio di una persona in quanto ne risulterà viziato dalla superficialità di quella escalation di contenuti scorciati che mirano troppo spesso alla quantità piuttosto che alla qualità ma capaci di carpire l’attenzione in modo così profondo da provocare crisi di astinenza quando ne si viene privati.
In questo scenario si plasmano, così, le esperienze degli users bulimici di snakable content erogati con quella meticolosa attenzione che sfrutta la ricompensa variabile.
Con il passare del tempo, la consapevolezza ne esce erosa portando ad individui trasformati in drogati di connessione incapaci di scollegarsi: figli dell’overload informativo, portatori di paure digitali e devianze da iperconnessi.
Fomo, Fobo, ADHD, phubbing, detouchment, sono solo alcune delle problematiche dovute a tutte quelle ore che diventano giornate scandite dalla modalità online e che accomunano le storie di sempre più generazioni che magari riconoscono la dipendenza senza volerne però realmente prendere le distanze.
Ma i dati sono allarmanti tanto che l’interesse nei confronti delle problematiche relative all’uso eccessivo di internet ha portato ad arricchire anche di questo aspetto la neuropsichiatria e come nel “Manuale di neuropsichiatria infantile. Una prospettiva psicoeducativa” di Franco Fabbro.
Comportamenti nevrotici, irritabilità, ansia, tristezza quando non si può utilizzare il cellulare, necessità di aumentare il tempo di utilizzo, incapacità di separarvisi, perdita di interesse per gli hobbies offline, sono alcuni dei sintomi che quando perdurano nel tempo portano all’insorgenza di vere e proprie patologie psichiatriche dovute al sovrautilizzo dei propri mobile gate.
La media education sembra così una bestemmia nel mondo social, troppo affamato e troppo scaltro per essere messo al confino, troppo intriso di quotidiano, troppo legato a troppi aspetti della nostra vita di tutti i giorni per poterlo debellare o almeno rendere meno pervasivo.
Usare i social con intelligenza sembra quindi un ossimoro, in un mondo in cui la comunicazione avviene prima online e poi tra le persone in carne ed ossa ed è proprio così che si plasma una società ipermediatica, iperconnessa e iper dipendente da quella cristallizzazione di smartphone e social e dove il non-contatto con il prossimo non risulta essere poi così importante se nell’ultima stories o nell’ultimo Tik tok ci sono milioni di views e dove non conta nemmeno se gli unici amici in carne ed ossa hanno tolto il “segui”, perché al loro posto ce ne saranno altrettanti di sconosciuti pronti a darci ciò che vogliamo mostrare.
Ed è così che agli occhi degli iperconnessi, 7 ore di utilizzo social in media al giorno, non sono nulla se tutto ciò serve ad appianare l’ansia e il senso di isolamento… questa è l’idea diffusa tra tutti coloro che sono cresciuti con la tecnologia.. i millenials.
24 ore senza telefono.. diventano in questo modo il peggiore degli incubi e la minaccia più terribile per chi vive con la virtualità in tasca.
La stessa che vizia la realtà rendendola un grottesco dilemma pirandelliano nella mise en scène di tanti Moscarda concentrati a mostrare una ostentata ribalta.
Youtuber, influencer, tiktoker.. pensare è un lusso per pochi nella vetrina del supermercato virtuale a portata di cuori.. mentre “il mostrare” diventa a tutti gli effetti il mangime per gli eredi dei piccioni di Burrhus Skinner.
Per quei pochi che l’hanno capito.. il problema però non sta nell’utilizzo del “gate” ma nel suo uso eccessivo e incontrollato capace di innescarne una necessità compulsiva che, con molte probabilità, diventerà patologia…
……Non c’è nessuna strada facile per la libertà.. (Nelson Mandela)
[NDR – Silvio de Pecher]
E da uno dei miei maghi preferiti Jack Nobile ecco un video completamente inaspettato e che ritengo di grande interesse!